Franco Bicini

“…. un umorista di razza che in tanti anni di lavoro si è espresso con grande umanità….” (Enrico Vaime)

“…. la sua faccia era una maschera di Pierrot lunaire, e, nel suo orgoglioso, nel suo splendido isolamento, così ricco di umori, di disprezzo verso il potere, c’era quel tanto di patetico che s’innesta nell’umano troppo umano: cifra del suo teatro non farsesco e il cui dialetto è strumento, mai fine…

… Bicini era aristocratico padrone dello spazio scenico che sentivi insostenibilmente vuoto, quando lui non ne era al centro.” (Carlo Antonio Ponti)

“…. Il fluire continuo di vita e di novità, che lo rendeva particolarmente caro ai giovani, non era un fatto culturale, ma derivava dal suo eccezionale dinamismo interiore, dagli immensi spazi fantastici che la sua anima riusciva a percorrere, pur vivendo egli nel limitato confine di una città di provincia….” (Mariella Chiarini)

Biografia di Franco Bicini

Testo di Mariella Chiarini, scritto in occasione dell’inaugurazione del Teatro del 13 dicembre 2014.

L’Autore teatrale Franco Bicini, nato a Perugia il 18 Novembre 1921 e morto sempre a Perugia il 4 Novembre 1988, è un figlio illustre della nostra città. Ha magistralmente e per tutta la sua vita raccontato l’essenza, il colore, l’anima della nostra gente, andando con la sua opera anche ben al di fuori dei confini della nostra regione, se teniamo conto del fatto che le trasmissioni della Rai “Qua e là per l’Umbria”, con due repliche settimanali, avevano una diffusione non solo regionale ma anche nazionale. Dobbiamo però anche dire che Perugia e la sua gente sono stati il punto di partenza, hanno costituito il primo campo di osservazione e di esperienza di quella umanità che avrebbe ispirato tutti i suoi lavori. Infatti Bicini ha poi allargato e approfondito il suo orizzonte, per raccontare l’uomo nella sua totalità e generalità. Non si spiega diversamente il successo e l’entusiasmo che egli ha suscitato non solo fuori Perugia, ma fuori dell’Umbria. Sarebbe dunque riduttivo considerarlo solo un autore di casa e per casa.

Ma andiamo per ordine. Un pizzico di biografia non guasta. Le notizie che ho io sono scarse e limitate a quello che lo stesso Franco mi raccontò di sé. Tutti sappiamo, comunque, che è nato nel cuore della vecchia Perugia, nel quartiere più colorato e popolare che è Porta S. Angelo, da una famiglia di piccoli commercianti che avevano un caratteristico, fiorente negozietto in via Bortolo, con quanto poteva servire a chi lavorava la pelle. Cominciò a scrivere di teatro a 18 anni. Prese il diploma delle magistrali. Fece un periodo il maestro elementare, ma, secondo quanto mi disse lui, smise perché la direttrice didattica, entrata nella sua classe e trovatolo con la sigaretta accesa, gli intimò di non fumare nell’aula. O perché era un fumatore accanito, o perché era uno spirito ribelle e poco incline all’obbedienza, o perché in fondo al suo cuore sentiva che non era quella la sua vocazione, mollò tutto e non tornò più a scuola. Potete immaginare la preoccupazione della famiglia. Dopo tanto dire e fare dei parenti, una zia riuscì a trovargli un posto al catasto. Peggio che mai: Franco, visto che non era il tipo che si adagiava a farsi mantenere dalla famiglia, accettò, sia pure obtorto collo, ma visse quest’esperienza come una galera, come la più grande mortificazione alla sua fantasia, alla sua creatività che non poteva essere imbrigliata dalle carte e dalle aride pratiche che un impiegato al catasto si trova a sbrigare. Fuggì dunque anche da qui e ne uscì la poetica commedia musicale “Adrasto, impiegato al catasto”.

Intanto era scoppiata la guerra ed il giovane Franco fu richiamato in marina. Bicini non solo odiava la guerra, come credo tutti noi, ma da spirito libero e ribelle qual era, detestava tutto ciò che sapeva di militare. Durante la sua esperienza bellica girò sia al nord che al sud d’Italia, vide tanti orrori, si ammalò di malaria.

Ne “Il ritorno del soldato”, un lavoro tratto da Ruzante, commissionatogli dalla Fontemaggiore per il teatro in piazza, traspare molto chiaramente questa sua esperienza. Questo periodo così difficile e duro, con la morte sempre dietro l’angolo, Franco lo racconta in un romanzo dal titolo “Guerra e baci…”, dove dimostra come il pericolo della vita sia un grande stimolo all’amore. Purtroppo il manoscritto non siamo riusciti a trovarlo, ma me lo leggeva a mano a mano che andava avanti nella scrittura ed era così avvincente che lo ascoltavo incantata.

Finita la guerra, il primo lavoro a portata di mano fu inserirsi nel negozietto di v. Bortolo, che, pur piccolo, senza la minima concorrenza, riusciva a dare sostegno dignitoso a ben tre famiglie, perché vi lavorava anche il fratello di Franco, Rino. La produzione del dopoguerra (a parte le tournée tipo “Polvere di stelle”, con una Compagnia di cui faceva parte anche il cantante-pittore Nito Vicini) fu legata al teatro allora molto in voga, il teatro di rivista, che riuniva tutti i talenti della nostra città, che animavano un’unica Associazione teatrale, la Fontemaggiore.

Allora c’erano armonia, umanità, capacità di collaborare e si creava una fantastica sinergia. Memorabili le produzioni del Teatro della Soffitta (del Morlacchi), le indimenticabili commedie musicali “Adrasto, impiegato al catasto”, “Buongiorno, don Attilio!”, “Sebastiano, turista marziano”, “Rotocalco” …. ecc. (di cui Bicini fu autore con le musiche di C.A. Belloni), con Giampiero Frondini, Violetta Chiarini, Adello Baldoni, Franco Ciarfuglia, Giancarlo Padalino, Gemma Gelmetti, Laura Gianoli, Giancarlo Cutini (che orchestrava le musiche del M° Carlo Alberto Belloni), Aldo Gianangeli, Rita Pannaccio, ecc. E furono pienoni al Morlacchi e al Turreno.

Nel 1959 viene istituita la sede Rai a Perugia e Franco Bicini inizia la sua produzione radiofonica. Nei primi 3-4 anni fu con altri 14 autori, tra giornalisti e persone di spettacolo. Poi, con la sua vena inesauribile, rimane quasi solo.

Oltre alle seguitissime scenette con i caratteristici personaggi Caterina, Pompeo, Poldino, Bossolino, Ernestino, Menichino ecc., ancora vivissimi nella memoria del pubblico non solo umbro, faceva rievocazioni storiche, celebrava ricorrenze, metteva in satira notizie con parodie, come si faceva allora, descriveva le bellezze della città con una scena fissa, dove un cicerone illustrava la città ad una straniera che non mancava di dire la sua. C’era sempre anche un componimento in endecasillabi di vari argomenti, generalmente commissionati dalla Redazione in base alle notizie della settimana.

Scrivere una poesia, un monologo, una commedia, un romanzo, una battuta, richiede tecniche e abilità diverse. Franco Bicini ha usato tutte queste diverse dimensioni, destreggiandosi bene e trovando sempre la giusta misura.

Ha anche inventato trasmissioni TV, nelle nostre emittenti locali, con lustri di anticipo su quello che avrebbe fatto la Rai in seguito. Lo scorribanda (“Striscia la notizia”); Il pro, il contro e lo scontro (“A bocca aperta” di Funari); Il ragioniere Stecquoli fu un (“Mi mando Lubrano”) ante litteram, tanto per fare alcuni esempi. La sua duttilità gli ha consentito di produrre tanto le commedie che il cabaret. Il suo guaio era che precorreva sempre troppo i tempi e così si trovava spesso a dover riporre nel cassetto degli scritti per ritirarli fuori più tardi. Nel ’66 scrisse, con le musiche di Carlo Alberto BelIoni, “L’Tantitutto”, che si dovette affrettare a riporre, per rispolverarlo nel ’78, quando fu inaugurato il Teatrino cabaret del Canguasto, col nuovo titolo di “Poveri noi!”

Franco era un tipo che non poteva passare inosservato anche per la sua fisionomia così scolpita. Portava una presenza forte, di grande impatto. La maggioranza lo amava, lo poneva al centro dell’attenzione. Lui si definiva, in questo contesto, “il dono delle ore liete”, perché portava allegria, divertimento. Le sedute conviviali con lui erano sempre interessanti, perché sfociavano sempre in una sorta di gioco della verità. Ma non era semplicemente un passatempo da salotto. Questo modo di fare faceva parte di quell’atteggiamento di ricerca che ha caratterizzato la vita di Bicini. Non riusciva ad essere banale neppure nei momenti di relax. Una persona che fa questo risulta benedetta per chi ricerca sé stesso, e inquietante e molesta per chi vive di facciate, per chi non vuole scoprirsi. Con la sua attitudine ad attrarre l’attenzione, poteva essere considerato un egocentrico; eppure lui non ha pubblicato un rigo di quanto ha scritto, né ha mai conservato un’immagine delle tante trasmissioni fatte. L’unico volume che esiste è postumo, curato dalla sottoscritta, pubblicato dall’Editore Guerra col sostegno di Comune, Provincia e Regione.

Diamo uno sguardo alla sua interiorità. Combattivo, traeva stimolo dalla competizione, amava le sfide, cimentarsi, lanciarsi in ardite “avventure”, ma non l’ho mai visto tramare inganni, brigare per affossare gli eventuali concorrenti e neppure chi lo combatteva. Non sapeva cosa fosse l’invidia. Era generoso, delicatissimo, poetico. Esempio della sua delicatezza è una fiaba dedicata ad una via di Perugia, “Via della Sposa”.

Aveva un rapporto speciale con la natura. Se non era al negozio, se non scriveva, era in mezzo alla natura. Specialmente il sole, ma anche la luna. Ad un suo personaggio de “I neonati” fa dire: ” … Se pole asassinà ‘na giornata de sole?” Per lui la natura portava con sé sempre anche il richiamo del Trascendente. Franco era credente, parlava molto spesso con Dio. Qualche volta si arrabbiava con Lui, un po’ come Giobbe, specie quando vedeva la sofferenza degli innocenti. Quando non riusciva a darsi una spiegazione plausibile di certi accadimenti non tragici, lo chiamava “il Burlone”. Lo aveva molto presente, lo percepiva come Energia; però aveva decisamente preso le distanze dalla Chiesa, diciamo pure che era un anticlericale, anche se conservava un affettuosissimo ricordo dei Salesiani che aveva frequentato in gioventù, sin da adolescente. Eppure, Bicini era francescano nel suo stile di vita. Era essenziale, allergico al consumismo, non ci teneva a fare sfoggio di auto, di vestiti …..

Non andava mai dal barbiere, si tagliava i capelli da solo. Diceva che non sopportava il fiato del barbiere sul collo. Quando lo conobbi aveva un paio di pantaloni blu fresco lana, che indossava in tutte le circostanze, d’estate e d’inverno. Magari cambiava quotidianamente la camicia, ma il pantalone e la giacca erano sempre quelli. In verità, siccome faceva vita di ristorante, spendeva molto per vivere, ma non concepì mai l’idea di accumulare denaro. Per lui il denaro era fatto solo per comprare ciò che gli occorreva; si preoccupava solo che le entrate non fossero inferiori alle uscite.

Quando abbiamo fatto il Teatro Canguasto in via Ulisse Rocchi, spendemmo tutti i nostri risparmi: circa 25 milioni di lire del ’78!

Era necessario quel denaro e lui si diede da fare di più per fare fronte a questa spesa straordinaria. Non è che gli avanzassero i soldi per fare quei lavori sulla proprietà di un altro. Poteva apparire un lusso, ma per lui era necessario come il pane, come l’aria che respirava, perché era un ideale, l’unico modo in cui poteva stare al mondo.

Attento osservatore della società, partiva da atteggiamenti del costume; eppure le sue commedie sono ancoro fresche! Perché? Perché non si limitavo a descrivere l’apparenza delle cose, ma andava oltre, andava alla sostanza, al fondo dell’animo umano.

Più spesso i temi delle sue commedie sono seri, drammatici, come quando nella commedia “Paralisi progressiva” descrive magistralmente un nervo scoperto della nostra società: la crisi dell’autorità paterna, della famiglia, il disorientamento dei giovani d’oggi nell’individuare la propria vocazione. Eppure, col suo dialogo impareggiabile, riesce a strappare la risata, abbassando la tensione e rientrando in quella misura, in quell’equilibrio che fanno di lui un autore a tutto tondo e non solo un vignettista, un bozzettista della sua borgata. Spesso Franco Bicini lascia aperti i suoi finali, creando uno stimolo in più alla riflessione del pubblico, che si sente coinvolto a tirare le somme dal messaggio ricevuto.

Repertorio:

Cabaret:

Poveri noi; Flick-Flock; Venghino … venghino!; Ci avete fatto caso?; Parlez vous col donca?; Più ce studio e meno ce acapisco; Chi non parla in dialetto, ci ha qualche difetto; ‘N c’è ‘n arcapezzo; Signori, in carrozza … per il 2000 si cambia!; Vizi privati e pubbliche virtù; Parlami d’amore, Mariù; Panini, fast food e spariamo all’ideale!.

Commedie:

Il ritorno del Soldato; La fu Berta Grey; Vitaliano, amore mio!; Ballata per un manovale; La tavolata; La sistemata; La purga del fiolo; Quando piovono gli angioletti; L’emancipata; La mandragola; I neonati; La grammatica; Paralisi progressiva; Paradiso: vado e torno!; l sogni proibiti; Amor che vuol dir gelosia.

Radiotelevisione:

Dal ’59 al ’76 “Qua e là per I’Umbria” e “Umbria domenica”, puntate settimanali per la Rai di Perugia.

Dal ’77 all’88 innumerevoli trasmissioni di successo a Radio Aut, Radio Umbria, Teleaia, Teleumbria, Telelibera, Tef.

Il piccolo, ma elegante teatrino, il Canguasto di via Ulisse Rocchi, che creammo nel ’78, ha tenuto stagioni teatrali oltre la sua morte, fino al’96, quando si dovette lasciare per problemi di agibilità. Fu così fondata una tradizione che ha visto il proliferare di innumerevoli compagnie, le quali, anche se non sempre raggiungono il livello del loro caposcuola, rappresentano un validissimo e meritorio mezzo di aggregazione ed educazione, specialmente per le giovani generazioni.

L’intitolazione di questo teatro, a ventisei anni dalla morte, è il primo riconoscimento pubblico da parte dell’Amministrazione a Franco Bicini, che ha svolto sempre autonomamente, senza mai gravare sulla spesa pubblica, la sua intensa e prolungata attività.

Mariella Chiarini

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